Eleonora Strino è riconosciuta dalla critica come uno dei più interessanti giovani talenti della scena jazz internazionale e torna al Bue Note perpresentare il nuovo album “Matilde”.
Per i giovani intervistatori che si occupano di arte sono scarse le opportunità di formazione, però c’è un consiglio che solitamente viene dispensato: non chiedere mai all’artista da dove trae la sua ispirazione. È una domanda apparentemente banale che può soltanto suscitare risposte banali e talvolta dense di sarcasmo. Eppure certe volte, nel giusto contesto, è esattamente la domanda da fare. Più spesso di quanto si pensi, romanzieri, poeti e musicisti sono molto contenti di spiegare che quella loro nuova opera ha avuto inizio in un momento preciso, da un suono, un accostamento casuale di parole o, molto spesso, un’immagine. A proposito del proprio romanzo La donna del tenente francese, lo scrittore britannico John Fowles ha raccontato di aver tratto ispirazione esclusivamente dalla figura, più volte immaginata, di una donna in abiti d’altri tempi, ferma su un molo deserto a guardare il mare. Ne è nato un romanzo che scandagliava non solo i modi fare e di pensare che hanno portato la Gran Bretagna a diventare quello che attualmente è, ma anche la natura stessa della narrativa.
Qui, nella nuova musica di Eleonora Strino, si sta compiendo qualcosa di simile.
Conosciamo “Matilde”, pensata non immobile e smarrita come la Sarah Woodruff di Fowles, ma intensamente viva e mutevole, mossa dal vento, rappresentata con due soli colori, il nero dei capelli e il bianco della sciarpa. Ciò che rende Matilde affine a Sarah è un certo tratto inquietante. Qual è la sua storia e di cosa è capace? Fowles ha avuto bisogno di parecchie pagine, tanta ricerca storiografica e un continuo viaggio tra passato e presente.
Eleonora Strino è stata ispirata innanzitutto da un quadro dipinto dal padre, ormai scomparso. Ma stabilire quali siano le fonti da cui prende spunto è un affare più complesso. Attinge a piene mani dalla musica spagnola e dalla lunga tradizione della chitarra jazz, dalle sonorità di Wes Montgomery, Joe Pass, Herb Ellis, Grant Green, Pat Martino, Jim Hall ed Emily Remler. Nell’era del rock la chitarra elettrica ha acquisito un’immagine stranamente mascolinizzata, fallica e aggressiva, MATILDE 6 7 laddove in precedenza era sempre prevalso un forte e inconscio collegamento tra il corpo della chitarra e il corpo femminile. E la chitarra elettrica si rivela uno strumento che non oppone resistenza fisica al musicista, che può essere suonato senza sforzo a un volume clamorosamente alto o a ritmo veloce con poca fatica apparente. Viene da pensare a un’artista contemporanea come Mary Halvorson, piccola d’aspetto ma grande nelle sue prestazioni musicali, o a Emily Remler che, secondo quanto da lei stessa dichiarato, dietro l’apparenza di una graziosa ragazza ebrea del New Jersey, celava l’anima di un omone di colore dal pollice enorme. Eleonora Strino suscita un’impressione simile, forse espressa al meglio nell’immagine di Matilde come miscela di delicatezza e forza, salda ma taciuta determinazione, magari perfino con un lieve sentore di pericolo. Questa, devo ammettere, è la musica guidata da una chitarra più coinvolgente che abbia ascoltato da tempo. Mentre adesso lo strumento è costretto spesso a ricorrere a elementi dell’energia rock per ristabilire il proprio ruolo nel jazz, Strino sembra suonare con uno stile molto vicino a quello dei maestri del jazz citati prima, aggiungendo però del suo. Non si tratta di far finta che Jimi Hendrix non sia mai esistito, ma di capire che c’è un altro modo di fare le cose. Matilde non ha paura di stare da sola né di ritrovarsi lontana da casa e in un territorio inconsueto. In un certo senso, questa è l’essenza del jazz. È musica profondamente individualista che dà pari risalto all’intera formazione, come fa Strino con i suoi eccellenti accompagnatori. È musica che danza da sola ma attira lo sguardo e l’attenzione di tutti. Di certo sono state scritte pagine e pagine sulle storture dello “sguardo maschile”. La domanda è sempre la stessa: “Chi tiene le fila della situazione? Chi esercita il controllo sullo sguardo?”. In questo caso, la risposta è nota. Abbandonatevi tranquillamente a Matilde: vi trascinerà in un viaggio indimenticabile, all’interno di ciò che significa essere una donna forte, creare qualcosa dal nulla, lasciarsi trasportare dalla danza della musica.
“Matilde è una donna che balla da sola in un piccolo paesino nell’entroterra della Spagna. Gli unici compagni di danza: un vento leggero che gioca con i suoi lunghi capelli neri ed un foulard bianco, intrecciato alle braccia affusolate. Lei è fiera, ha il volto sempre rivolto verso l’alto e sembra non temere nulla. Non ha paura del giudizio delle persone che la guardano quasi come fosse un’invasata, i suoi occhi sono chiusi e ridenti. Non ha paura di trovarsi in un territorio che non è il suo perché non appartiene a nessun luogo. Non ha paura di essere sola. Mahthildis: da maht “forza”, “potenza” e hild “battaglia” Lei è Matilde: forte guerriera A mio Padre, per avermi insegnato ad essere una donna libera”
Eleonora Strino